Come si critica un logo?
Lo ammetto, la tentazione di dire la mia ogni volta che vedo un nuovo logo è forte, mi piace riconoscere la qualità di un buon progetto o bacchettarlo se proprio non mi convince.
E in passato raramente sono andato in punta di fioretto quando si presentava l’occasione, preferendo stoccate dirette e spesso indelicate.
Nel progetto di un logo una regola non scritta suggerisce l’ideazione di 3 proposte creative da sottoporre al cliente, numero non casuale in quanto evita l’aut aut delle due scelte, dilemma che può mettere in crisi chi deve decidere, e l’imposizione della scelta unica. Sta al grafico e alla sua professionalità cercare di presentare soluzioni di pari efficacia e forza comunicativa, per evitare che la scelta ricada su una proposta di basso spessore.
Prima di aggredire progettista e progettato, dovremmo però chiederci se quel logo ha mantenuto l’originalità o è il risultato di contaminazioni, stratificazioni, ideologie e logiche di marketing imposte da committenze spesso impreparate. Se non altro per moderare il tono di voce da utilizzare nei nostri commenti.
Fatte queste doverose premesse, ci sono 3 aspetti che dovremmo valutare nel logodesign:
- Cosa si vuol dire
- Come lo si dice
- Quanta fortuna si ha
Cosa si vuol dire.
Il logo deve dire qualcosa, altrimenti è debole e arbitrario. Può raccontare qualcosa di tangibile (morfologia del prodotto, identità architettonica o territoriale, nome proprio, acronimo) o di intangibile (valori, vision, purpose, anima). Se dice qualcosa che ha pertinenza con l’azienda e il suo settore tanto meglio, sarà più esplicito e accessibile. Se quello che dice non è chiaro potrebbe essere un logo astratto, nella forma oppure nel significato, e funzionare molto bene lo stesso.
Come lo si dice.
Lo si deve dire con pochi, pochissimi elementi, messi bene.
Qui entrano in gioco le abilità creative e progettuali del designer, che deve portare al massimo grado il potere visivo e comunicativo del marchio.
Deve essere in grado di capire quale tipologia di logo è più adatta al progetto.
Si deve districare tra rapporti di pesi, stili, colori, forme, distanze, proporzioni. Deve guardarsi dagli inganni geometrici delle illusioni ottiche e non farsi ipnotizzare dalle linee di costruzione.
Può far succedere qualcosa, per scansare l’appiattimento della simmetria.
Quanta fortuna si ha.
Tra “Bar H” e “Carpenteria Metallica Mastrofrancesco” ci sono 31 lettere di differenza, se il fabbro odia gli acronimi le cose si mettono male. La lunghezza del naming e l’anatomia dei caratteri possono influenzare notevolmente la riuscita di un logo. Un nome corto non necessariamente ha bisogno di un simbolo che lo accompagni, un nome lungo non può farne a meno. Un nome corto composto da lettere simili, tonde o rettilinee, è baciato dalla dea bendata, non sono ammessi errori.
Se la fortuna non è calcolabile, cosa dire e come dirlo dipendono da noi e devono andare a braccetto. Una buona idea non va sprecata con un design scadente, così come un design impeccabile deve essere supportato da un messaggio forte.
Quelli appena descritti sono gli aspetti che a mio avviso andrebbero considerati prima di rilasciare la propria sentenza nei commenti social o ovunque ne venga data la possibilità.
Sentenza che, ripeto, non considera la storia di quel progetto, ma solo il risultato finale, condiviso. E se proprio si sente l’urgenza di esprimere un’opinione, che sia almeno supportata da un minimo di senso estetico e di cultura visiva.
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